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Automotive, l’elettrificazione porterà nuovi posti di lavoro

L’elettrificazione del settore automotive porterà una crescita occupazionale del 6% da qui al 2030. A evidenziarlo è la ricerca recentemente pubblicata “Le trasformazioni dell’ecosistema automotive italiano” , condotta da Motus-E, associazione industriale e accademica di settore, e CAMI, Center for Automotive and Mobility Innovation del Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Nell’articolo vedremo i risultati della ricerca e l’innovativo metodo d’analisi.

Più impiegati, ma con diverse competenze

L’obiettivo dell’analisi è quello di valutare gli effetti della transizione energetica sulla filiera dell’auto nazionale, con un focus sui riflessi occupazionali. Il risultato è sorprendente: se ben cavalcata, la transizione può far bene all’occupazione, con un aumento dei posti di lavoro pari al 6% nei prossimi sette anni. Lo studio sottolinea che gli impiegati saranno di più ma diversi da quelli che conosciamo oggi, perché nasceranno altre opportunità legate alle nuove attività della filiera. Ad esempio nel mercato delle batterie, dove le gigafactory porteranno circa 4 mila posti di lavoro. Poi bisogna anche considerare altri settori, come la lavorazione dei materiali e il riciclo. Dall’analisi emerge che sarebbe sufficiente un marginale incremento di queste attività trasversali per compensare anche un dimezzamento dei lavoratori destinati unicamente ai motori tradizionali.

Non si può rimanere indifferenti di fronte a questi numeri – avverte Massimo Nordio, presidente di Motus-E – È evidente che per rilanciare l’industria italiana dell’auto occorre puntare subito sulle tecnologie in espansione. Perdere tempo vorrebbe dire indebolire ulteriormente il settore e cedere ad altri Paesi la nostra leadership nella componentistica, una filiera strategica e fondamentale per l’Italia. Non possiamo più permetterci di trascurarla, mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro, dopo quelli che abbiamo già perso”.

Ora la palla passa all’Osservatorio sulle trasformazioni dell’ecosistema automotive italiano, lanciato per prendere il testimone del report.  “L’Osservatorio nasce per produrre evidenze scientifiche sullo stato dell’arte e sull’evoluzione delle competenze di imprese e lavoratori. I risultati saranno al servizio della ricerca, del sistema economico e dei policy maker. Avrà sede a Ca’ Foscari presso il Dipartimento di Management, e si avvarrà della rete del CAMI, formata da studiosi e ricercatori delle Università e del CNR-IRCrES”, ha detto Francesco Zippoli, direttore scientifico del CAMI.

Una visione d’insieme

Per arrivare a questo risultato è stato necessario adottare un nuovo metodo d’analisi. Un approccio decisamente diverso da quello dei tradizionali codici ATECO, ovvero la classificazione delle attività economiche adottata dall’Istat e utilizzata dall’Istituto Nazionale di Statistica italiano anche per le ricerche in ambito automotive. Questi dati, infatti, non riescono a intercettare tutte le attività connesse allo sviluppo della mobilità elettrica, perché non riescono a fornire uno sguardo complessivo.

I risultati sono il frutto di un’analisi basata su una tecnologia in grado di catalogare tutte le attività connesse alla produzione di veicoli elettrici. Per allargare il perimetro di esame alle nuove realtà legate all’elettrificazione, lo studio ha analizzato 19 macromoduli caratteristici della produzione auto italiana, a cui fanno riferimento 127 componenti elementari, in pratica, tutte le singole parti che compongono un veicolo, dalle valvole al tessuto dei sedili. Un grado di dettaglio che ha consentito di scandagliare il portafoglio prodotti delle singole aziende e individuare un nuovo indicatore, in grado di misurare la correlazione di ciascuna azienda con i powertrain elettrici. Tale indice ha così permesso di stimare il livello di rischio di ogni azienda in base alla compatibilità del proprio portafoglio prodotti con i veicoli elettrici. Motus-E e CAMI hanno studiato più di 2.400 aziende fornitrici di componentistica, che danno lavoro a circa 280.000 persone.

Il settore automotive oggi

L’industria automotive sta affrontando un periodo di forte cambiamento, dovuto all’imminente necessità di passare a una mobilità più sostenibile. Gli investimenti in nuove tecnologie delle maggiori case automobilistiche sono la prova di questa spinta alla transizione: secondo le più recenti stime, si parla di 1.160 miliardi di euro di stanziamenti globali per l’elettrificazione entro il 2030. Degli investimenti che avranno una forte ricaduta anche sulla mobilità pubblica e la micromobilità.

Il comparto si è dovuto misurare negli ultimi anni con la crisi di approvvigionamento delle componenti e delle materie prime, come diretta conseguenza della pandemia e del conflitto russo-ucraino. Un duro colpo per la filiera automotive italiana, che registra una decrescita pluridecennale. Dall’analisi delle serie storiche, emerge che la contrazione del mercato e della filiera nazionale è un fenomeno iniziato decenni fa. Nel 1989 la produzione annua di automobili si attestava a 1.971.969 unità, contro le 1.410.459 del 1999, le 661.100 del 2009, le 542.472 del 2019 e le 442.407 del 2021. Un andamento simile a quello delle immatricolazioni che è passato dalle 2,286.784 del 1989 alle 1.458.313 del 2021.

Gli occupati del settore, tra il 1998 e il 2008, decennio di massimo sviluppo per le motorizzazioni endotermiche, sono crollati in particolare da 177.419 a 144.890, arrivando ad attestarsi nel 2018 a quota 140.804: il 21% in meno rispetto a 20 anni prima. Per un settore in crisi, la transizione ecologica, se adeguatamente accompagnata può rappresentare un‘opportunità per invertire questo trend.

Team SIFÀ

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